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Bevo piano,
come se potessi rallentare il tempo.
Il vetro riflette un volto che non riconosco,
uno che sa ancora fingere di sentire qualcosa.
Lei è lì, distesa,
con lo sguardo che non chiede, solo invita,
come se il corpo fosse l’ultimo linguaggio rimasto.
Il gin scende lento,
brucia in gola come una confessione taciuta.
Ogni sorso mi avvicina a un istante più vero,
a un respiro che sa di carne e colpa.
Le dita si cercano, non si promettono nulla,
sfiorano, graffiano, inventano una tregua.
Lei mi dice “resta”.
Non è una preghiera,
è solo un modo elegante per dire “non andartene ancora”.
Il sesso diventa un patto momentaneo,
una menzogna condivisa dove entrambi siamo sinceri.
La pelle sa essere più onesta delle parole.
Il suo odore si mescola al gin,
alle bugie, al sudore,
a quella voglia disperata di sentirsi vivi
anche solo per un’ora.
Poi il silenzio.
Il fiato si placa, i battiti si allineano,
e il bicchiere, vuoto, mi guarda come un complice stanco.
Fuori è notte,
dentro pure.
Eppure, per un istante breve e bruciante,
ci siamo illusi di toccare qualcosa di vero.
Lei si alza, nuda,
cammina tra le ombre come se le appartenessero.
Ogni passo è un addio,
ogni sguardo una promessa non mantenuta.
Io resto seduto,
con la gola che sa ancora di gin
e la pelle che sa di lei.
Fumo una sigaretta spenta, per abitudine,
come si accarezza un vizio che non consola più.
Fuori la notte guarda dentro,
ma non trova niente da rubare.
Forse è questo l’amore, penso:
un lampo che brucia e poi lascia solo fumo.
Lei torna,
mi dice “sei un casino bellissimo” e ride.
Una risata che sa di resa,
di chi ha imparato a non chiedere più nulla.
La bacio come si bacia una ferita:
sapendo che farà male,
ma lo stesso la cerchi.
Le mani scorrono lente, testarde,
come se il desiderio potesse riscrivere la memoria.
Il gin è finito,
ma la notte no.
E in quell’odore di pelle e verità bruciata,
capisco che non siamo soli,
solo due sopravvissuti
al bisogno di sentirsi vivi.
Alla fine resta il silenzio.
Il corpo si arrende, la mente ricomincia a mentire.
Lei dorme, io no.
Guardo il soffitto come si guarda una colpa che non passa.
Forse non è amore,
forse non lo è mai stato.
Solo due solitudini incontratesi a metà bicchiere,
che hanno deciso di non salvarsi.
Il gin è evaporato,
ma il sapore è rimasto in gola.
E dentro, quell’amaro che sa di verità:
nessuno di noi voleva davvero l’altro,
volevamo solo non sentirci soli.